
Mark Zuckerberg: da un'aula semivuota ad un impero mondiale
Pubblicato il 20/04/2016
Tutte le nuove idee hanno avuto una fase iniziale in cui a nessuno importava di ascoltarle e molti non riuscivano a capirne il valore.
Immaginarlo oggi è davvero difficile, ma è successo anche a Mark Zuckerberg più di 10 anni fa, quando andò a presentare Facebook ad Harvard di fronte ad un’aula semi vuota.
Ai tempi il social aveva poco più di un anno, non era molto conosciuto ed era riservato ai soli universitari, ma aveva già attirato l’attenzione degli investitori.
Se si osserva la scena senza conoscere il futuro di questa brillante azienda, mette un po’ di tristezza: l’allora ventunenne Mark, in ciabatte e felpa di pile, racconta un po’ impacciato i cambiamenti che stanno rivoluzionando il mondo del web a 20 studenti che applaudono con scarsa convinzione. Niente a che vedere con l’imprenditore multimiliardario estremamente sicuro di sé che tiene i suoi discorsi di fronte ad una platea di centinaia di persone che pendono dalle sue labbra.
Il video che sta girando su internet ultimamente ha come protagonista un giovane Zuckerberg con qualche difficoltà nel public speaking, ma con le idee molto chiare su dove vuole portare la sua azienda: al livello dei grandi colossi come Google, Yahoo e Amazon.
Il suo segreto? Non ha paura di mettersi alla prova. “Penso che sia molto meglio far succedere qualcosa e poi scusarsi, piuttosto che assicurarsi che tutto sia perfetto e non portare mai a termine le cose.”
Già a quei tempi era evidente in lui quella determinazione che l’avrebbe portato a diventare uno dei personaggi più importanti degli ultimi anni sul Web e non solo.
Era l’inizio dell’epoca in cui spendendo pochi soldi in apparecchiature era possibile collegare migliaia di utenti attraverso un solo computer preso in affitto in un dormitorio universitario.
Zuckerberg aveva colto questo cambiamento radicale intuendo che il potere si stava spostando sempre più nelle mani dei singoli individui dalle menti brillanti, capaci di impegnandosi il più possibile ottenendo risultati inimmaginabili senza troppi capitali.
“Penso che l’aspetto più bello della tecnologia in questo momento è che le persone siano potenti e capaci di fare molto di più di ciò che avrebbero mai potuto prevedere.”
Oggi, durante l’evento annuale F8 a San Francisco, lo ritroviamo esteticamente immutato, ma con un discorso studiato nei minimi dettagli per emozionare e coinvolgere la sua folta platea.
Ad affiancarlo ci sono alcuni rappresentanti del suo team, di sicuro persone dalle menti brillanti. Agli albori di Facebook aveva raccontato di non aver mai cercato collaboratori con competenze specifiche, ma che fossero in grado di imparare in fretta e soprattutto che ne avessero la volontà.
Sale sul palco tra gli applausi annunciando un piano decennale pieno di novità, basato su una nobile mission: dare a qualunque individuo sulla faccia della terra una voce.
Il suo obiettivo sin dall’inizio della storia di Facebook era quello di connettere tra loro le persone, partendo dal suo college per poi allargarsi a tutto il pianeta.
“La caratteristica principale della maggior parte delle aziende che hanno un grandissimo successo” aveva detto ad Harvard “è che sono nate cercando di realizzare qualcosa di bello, e non con l’idea di creare un’azienda.”
Inseguendo i suoi sogni, quel ragazzino un po’ nerd è riuscito a costruire un impero e a diventare il 6° uomo più ricco al mondo.
Nei prossimi 10 anni promette che Facebook si trasformerà in un vero e proprio ecosistema, all’interno del quale si svilupperanno una moltitudine di attività, come le app di Messenger, Instagram e WhatsApp. In più, guiderà l’esplosione della realtà virtuale e della connettività globale.
Oggi lo scopo di Zuckerberg è quello di cambiare in meglio la nostra società: parla delle guerre, dei migranti e di tutti i problemi che l’umanità è costretta ad affrontare in questo periodo storico.
“Ci vuole coraggio per scegliere la speranza piuttosto che la paura. Invece di alzare muri, possiamo aiutare la gente a costruire ponti. E invece di dividere le persone, possiamo aiutarle a restare unite. Un’innovazione alla volta.”